Violenza contro le Donne: le risposte della Fede
Introduzione di Pina
Giacalone Teresi - insegnante - evangelica - Marsala |
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Il tema che tratteremo durante questa "tavola
rotonda", a cui partecipano quali relatrici due donne di confessioni
cristiane diverse, la dott.ssa Caterina GRECO – cattolica – e la
dott.ssa Alessandra TROTTA – protestante -, è un tema alquanto
spinoso ed impegnativo da affrontare, ma soprattutto potrebbe
risultare doloroso per alcune delle donne qui presenti:
"VIOLENZA contro le DONNE"
Ci si chiede come mai, ancora oggi, all’inizio
del terzo millennio, quando l’umanità sembra essere riuscita a
conseguire, soprattutto nel campo tecnologico, mete improponibili ed
inimmaginabili, si possa parlare di tale argomento e più di ogni
altra cosa siamo ancora alla ricerca di "soluzioni" e "risposte"
esaustive.
Purtroppo, con grande rammarico, questo argomento
è di un’attualità impressionante ed inquietante.
Non passa quasi giorno in cui non ci imbattiamo
in notizie riguardanti atti di violenza, di abusi, di stupri, contro
le donne.
Ma cosa significa
l’espressione: "violenza contro le donne?"
La violenza sulle donne, così come definita nella
Dichiarazione per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne emanata
dalle Nazioni Unite nel 1993, è "qualunque atto di violenza sessista
che produca, o possa produrre, danni o sofferenze fisiche, sessuali
o psicologiche, ivi compresa la minaccia di tali atti, la
coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita
pubblica che nella vita privata".
È una violenza che si annida nello squilibrio
relazionale tra i sessi e nel desiderio di controllo e di possesso
da parte del genere maschile sul femminile.
I dati raccolti da indagini statistiche, rilevate
dall’Istat e dal Telefono Rosa, sono allarmanti. Molte sono, nel
nostro paese, le donne che soffrono violenza, che versano "lacrime
amare" per gli abusi patiti, che pagano lo scotto della violenza
subita con gravi conseguenze per la propria salute fisica e
psicologica.
Le implicazioni, che tali violenze producono
sulle donne, sono terribili: depressione, perdita di fiducia e di
autostima, sensazioni di impotenza, disturbi del sonno, ansia,
difficoltà di concentrazione, dolori ricorrenti in diverse parti del
corpo, difficoltà a gestire i figli, la casa, il proprio lavoro,
idee di suicidio e di autolesionismo.
Purtroppo, i dati raccolti non sono definitivi né
tanto meno certi, poiché una sorta di omertà, specialmente nelle
donne del sud, copre questi episodi di violenza.
Qualcuno ha scritto: " a
volte il vero tabù non è l’incesto i sé stesso, ma il parlarne".
Le donne spesso sono restie a denunziare la
persona che ha fatto loro violenza, da una parte per paura delle
eventuali ripercussioni negative che potrebbero procurare altra
violenza, dall’altra perché non sempre risultano "credibili" quando
denunziano gli uomini che hanno procurato loro del male, in quanto
gli stessi, quasi sempre, ricoprono ruoli importanti ed
insospettabili nella comunità o in seno alla famiglia.
Non solo! A volte la donna viene accusata di
aver istigato il violentatore con il suo comportamento, con il suo
atteggiamento o addirittura con l’abbigliamento, per cui da vittima
diviene colpevole dell’atto stesso.
Un altro fatto inquietante, prodotto dalle
indagini svolte, è che questi abusi avvengono per la maggior parte
delle volte in famiglia.
La famiglia, il nucleo primordiale di
associazione dell’umanità, non riesce a dare, forse oggi più che
ieri, protezione, rifugio a quella che rappresenta una delle
componenti più deboli !
E allora, chi può tutelare la donna oggi se il
ruolo della famiglia risulta vacillante? Saranno forse le
istituzioni, gli enti associativi, la chiesa, lo Stato, la
giustizia?
Cosa si può fare per aiutare le donne che
subiscono violenze? Nello specifico, cosa possiamo fare noi?
Intanto, parlarne è un fatto positivo, in quanto si può rompere il
muro di omertà, spezzare le catene del silenzio, in modo che le
donne possano "riprendere" fiducia in sé stesse, capire che non sono
sole, che c’è qualcuno in condizione di comprendere il loro stato di
disagio, che c’è qualcuno pronto ad aiutarle, soprattutto che c’è
qualcuno in grado di dare risposte concrete.
È necessario che ciascuno di noi, donne ed
uomini, persone create ad "imago dei" iniziamo a non scandalizzarci
troppo quando sentiamo di certi avvenimenti che ci fanno inorridire,
perché questi fatti non sono lontani da noi, ma possono accadere fra
noi, a tutte noi, alle nostre figlie, nelle nostre famiglie.
Soprattutto, chi rappresenta una "comunità
ecclesiale" sia in grado di dare risposte concrete ed aiuti
specifici in modo che la donna possa risollevarsi dal suo stato di
dolore e possa riacquistare la propria dignità violata.
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Violenza contro le Donne: le risposte della Fede
Relazione di Caterina Greco - magistrato - cattolica - Marsala |
Introduzione: lo stato di fatto
Com’è stato premesso nelle brevi note introduttive della
moderatrice ancora oggi, all’alba del terzo millennio dell’era cristiana, si
continua a costatare come la violenza dell’uomo trovi uno dei suoi più
frequenti oggetti nella donna.
Se in gran parte tale forma di violenza annida le sue
radici in costumi di inveterata memoria, in antichissimi pregiudizi, in
condizionamenti culturali che si perdono nella notte dei tempi, oggi, in
un’epoca in cui l’antico, il pregiudizio, i modelli culturali tradizionali
sono stati messi profondamente in discussione a favore di un’esaltazione
della libertà dell’uomo "moderno" rispetto ai tabù del passato, questo
problema non è affatto superato.
Anzi, ancora oggi, si registrano dati statistici
allarmanti, in proposito; la prima causa di morte delle donne tra i 16 ed i
44 anni, nel mondo, in Europa e in Italia, è la violenza dei loro compagni;
ciò evidenzia un fatto: che le donne non sono soltanto le vittime di
violenza di strada, nello spazio urbano, al contrario i dati dicono che le
violenze, e le morti, sono altissime in famiglia; molto più basse fuori.
Questo dato è ancor più allarmante se si pensa come sia
più difficile per una donna intanto subire violenza da parte delle persone
più vicine, dalle quali essa avrebbe ragione di aspettarsi amore,
accoglienza, protezione; per altro, è assai più difficile e doloroso
denunciare l’abuso e la violenza quando essa si consuma entro le mura
domestiche, poiché in tal caso essa è connotata da maggiori paure, sia per
la propria incolumità, che per i figli, e più in generale per l’assetto dei
rapporti familiari nel loro complesso e la pur apparente sicurezza che tale
assetto ancor oggi spesso assicura alla donna.
Costituisce pure un dato di fatto che spessissimo le
violenze non vengono denunciate; a tal proposito segnalo un dato statistico
locale, relativo al circondario del nostro Tribunale dove, negli anni
decorrenti dal 2000 al 2007, risultano avanzate 143 denunce per reati
sessuali e 445 denunce per maltrattamenti, di cui buona parte vedono vittime
donne; di tali processi non tutti giungono a condanna, spesso per
ritrattazioni da parte delle persone offese; e comunque in ogni caso il dato
statistico evidenzia già una scarsezza di denunce rispetto a quella che
appare essere una realtà molto più diffusa.
Alcuni spiegano questa recrudescenza della violenza,
soprattutto in ambiente familiare, come reazione alla mutata soggettività
femminile. Oggi più di ieri le donne si sottraggono alla funzione di
rassicurazione e conferma dell’identità maschile. Da qui un diffuso senso di
inquietudine e disorientamento degli uomini. Non potersi più rispecchiare
nello sguardo femminile, per cercarvi conferma, appare come un torto, fa
vacillare quello che appare un "diritto naturale" alla solidarietà
dell’altro sesso. E l’aggressività si attiva come tentativo disperato di
ristabilire un ordine intravisto nel rapporto di tipo gerarchico, fondato
sul maggior "potere" dell’uomo che, se non si trova in altro, quanto meno è
dato dalla forza fisica. Il bisogno di appropriazione e di controllo del
corpo delle donne ne è l’espressione più forte, e sbocca spesso, troppo
spesso, in violenza fisica. Ma la tendenza a ristabilire "di forza", più e
oltre che di diritto, un ordine che confermi e legittimi il bisogno maschile
di rassicurazione, si esprime anche nella politica, nella cultura, nelle
norme. Quanto più gli uomini continuano a non interrogare la propria
identità sessuata, tanto più contribuiscono, colpevolmente, alla diffusione
delle violenze contro le donne.
La visione della donna nella Rivelazione
Ci si chiede in questa sede di indagare quali siano gli
atteggiamenti che un uomo di fede deve assumere di fronte a questo problema:
in che senso e come la fede ci interpella, come uomini e donne di oggi, su
questo tema così scottante?
Dobbiamo dunque tornare alla radice della nostra fede che
è Cristo.
Gesù non ha mai parlato apertamente della questione
femminile né si è mai pronunciato sul tema della dignità della donna; eppure
viveva in un contesto storico in cui questa era fortemente sottomessa
all’uomo in una condizione di profonda inferiorità.
La donna, che veniva data in sposa senza il suo consenso,
era considerata una propaggine, un’appartenenza al marito, come un oggetto,
un animale, una cosa; è vero che il marito doveva assicurare il suo
mantenimento ma essa restava pur sempre in una condizione di minorazione,
anche sociale e giuridica; era sconveniente parlare con una donna in
pubblico, poteva essere ripudiata senza difficoltà dal marito; una nota
preghiera dei rabbini diceva che ogni giorno l’uomo avrebbe dovuto
ringraziare Dio di non averlo fatto nascere donna.
Le donne non mangiavano né pregavano con gli uomini,
anche se avevano il dovere di conoscere le scritture in quanto le si
affidava il compito di educare i figli alla fede e spronare il marito
all’osservanza delle prescrizioni della legge mosaica.
La donna era però signora nell’ambito domestico; in ciò
l’uomo dipendeva in tutto da lei; essa era dunque indispensabile all’uomo,
come lo è in tutti i tempi ed in tutte le culture del mondo; e per non
riconoscere tale dipendenza e tale "potere" che da sempre la società
politica ha voluto riservare alla forza maschile, l’uomo ha da sempre
relegato la donna nell’ambito riservato e chiuso delle mura domestiche,
giustificando questo con le mille malizie che pregiudizi atavici affibbiano
alla donna, origine e causa del peccato e di ogni tentazione, nonché di
impurità. Nella Bibbia tuttavia non mancano splendidi spunti di elogio della
figura femminile attribuendole qualità morali di grande rilievo: coraggio,
generosità, spirito di sacrificio, grandezza d’animo (Debora, Giuditta,
Ester ecc.), sempre però viste come funzionali ad arricchirne l’uomo che la
pone al suo fianco.
Come si pone Gesù rispetto a questo contesto culturale?
Cristo, intanto, non si frappone al passato se non nei
confronti di ciò che la tradizione ebraica aveva insegnato e tramandato con
riguardo ai pregiudizi sulle donne, ma torna volentieri all’origine, per
spiegare il vero senso ontologico dell’essere femminile e del rapporto
uomo-donna; egli è la Parola del Padre, e come incarnazione di quella Parola
ricorderà ai suoi contemporanei che è proprio insito nel disegno originario
della creazione il concetto di pari dignità (maschio e femmina Dio li creò,
cioè a Sua immagine e somiglianza), disegno spiegato da Gesù per combattere
alcune sovrastrutture legalistiche ebraiche che avevano dimenticato il senso
di tale progetto, relegando, a causa del peccato, la donna in una condizione
socialmente subordinata all’uomo.
Il testo biblico della Genesi viene testualmente
riportato da Gesù (Mt 19: 4-6) il quale a interrogativi portati da
sovrastrutture contingenti e storiche risponde con la verità del fondamento
ontologico della persona umana: essa è stata creata in una diversità data
dalla sua sessualità, voluta da Dio quale fondamento della sua
relazionalità; ed è in questo aspetto, che poi è attitudine all’amore, al
riconoscimento dell’altro ed al dono di sé, che l’Uomo è immagine di Dio. In
questa prospettiva, infatti, l’uomo viene creato a immagine e somiglianza di
Dio: Dio che è relazione d’Amore tra il Padre e il Figlio nello Spirito
Santo, crea l’uomo a sua immagine, crea l’uomo (genere umano) sessuato
affinché anche tramite tale sua peculiare corporeità possa entrare in una
relazione d’amore, possibile tra l’uomo e la donna: sino a che non viene
esplicitato questo essere relazionale, sino a che dunque accanto all’uomo
non viene posta la donna, "un aiuto che gli sia simile" (nella traduzione
letterale si legge "un sostegno che gli stia di fronte": e questo richiama
ancora la totale reciprocità e pari dignità dei due sessi) (quindi un dono,
che l’uomo riceve da Dio con gratitudine e gioia), l’uomo non si realizza;
in essa l’uomo scorge l’identità con la propria natura ma, al tempo stesso
quella diversità-limite che gli consente di mettersi in relazione con lei,
per quello che a lui manca per essere veramente e pienamente se stesso. La
diversità non è mai intesa come inferiorità, ma come ricchezza che apre alla
comunione.
La sessualità non è quindi un accidente ma è cosa molto
buona: essa dice qualcosa sull’essere umano e ne spiega ed orienta la sua
relazionalità.
Su questa base di fedeltà alle origini tutto il messaggio
di Gesù sulla donna è fortemente rivoluzionario e non a parole, ma con gesti
concreti.
Giovanni Paolo II ha evidenziato nel suo magistero come
il primo esempio di difesa della dignità della donna lo troviamo nello
stesso Gesù Cristo: "In tutto l'insegnamento di Gesù, come anche nel suo
comportamento, nulla si incontra che rifletta la discriminazione, propria
del suo tempo, della donna. Al contrario, le sue parole e le sue opere
esprimono sempre il rispetto e l'onore dovuto alla donna…Ciò diventa ancora
più esplicito nei riguardi di quelle donne che l'opinione corrente indicava
con disprezzo come peccatrici, pubbliche peccatrici e adultere."
E segnala altresì come in questa dignità della donna
rientri la maternità come parte essenziale dell’essere donna: "La maternità
è legata con la struttura personale dell'essere donna e con la dimensione
personale del dono". La maternità è collegata alla verginità, ma è anche
distinta da essa: "Nella verginità liberamente scelta la donna conferma se
stessa come persona, ossia come essere che il Creatore sin dall'inizio ha
voluto per se stesso, e contemporaneamente realizza il valore personale
della propria femminilità, diventando «un dono sincero» per Dio che si è
rivelato in Cristo, un dono per Cristo Redentore dell'uomo e Sposo delle
anime: un dono «sponsale»."
Torniamo all’esame del Vangelo.
Intanto non pochi miracoli che vengono espressamente
ricordati dagli evangelisti, sono stati compiuti a favore di donne: la
guarigione della suocera di Pietro, dell’emorroissa (la sua condizione di
salute la rendeva impura per il semplice contatto), della figlia di Giairo,
del figlio della vedova di Naim, ecc. Ciò evidenzia già come il mistero
della salvezza, che trova nei miracoli proprio il segno tangibile della sua
realtà e della nuova era le cui primizie si sono già manifestate su questa
Terra, è comune a uomini e donne.
Inoltre, benché fosse precluso alle donne ogni ruolo
nella vita pubblica, Gesù accetta al suo seguito, nel dispiegarsi della sua
missione apostolica, diverse donne che lo accompagnano e lo sostengono
economicamente.
Ma del tutto illuminanti sono i rapporti personali ed i
dialoghi che il Vangelo ci tramanda di Gesù con le donne:
Gesù a Betania si sofferma con Marta e Maria ed è
contento che quest’ultima si fermi ad ascoltare i suoi insegnamenti dicendo
che ha scelto la parte migliore che non le sarà tolta.
Gesù accoglie la peccatrice pentita che bagna con le sue
lacrime i suoi piedi, entrando ad un banchetto dove solo gli uomini erano
ammessi; e ne loda l’amore di contrizione che le ha guadagnato la salvezza.
Commovente e veramente toccante è il dialogo di Gesù con
la samaritana cui Egli rivela chiaramente i Misteri della Salvezza,
infrangendo molti tabù dell’epoca (tant’è che gli stessi apostoli vedendo
che parlava con una donna, per di più Samaritana, si meravigliarono).
E che dire dell’episodio in cui Gesù, di fronte alla
violenza legalistica degli ebrei pronti a lapidare l’adultera, coglie la
vera radice del peccato di quella donna nella speculare, ma giustificata,
situazione di peccato di quegli uomini che erano pronti a punire la donna e,
contestualmente, sana quella donna dalla profonda ferita che la sua
condizione sociale e morale le aveva irrimediabilmente inflitto, donando il
perdono di Dio, la possibilità di ricominciare daccapo, nella fiduciosa
esortazione "va’ e non peccare più".
Il Signore non disdegna neppure di parlare
confidenzialmente con donne pagane, sempre su discorsi teologici (alla donna
Cananea) elogiandone la fede e mostrando anche qui come la salvezza è per
tutti (per riprendere S. Paolo: con Cristo non c’è più giudeo né greco, né
schiavo né libero né uomo né donna).
E che dire del fatto che proprio alle donne Cristo ha
affidato il messaggio della Risurrezione apparendo a loro per prime e dando
loro il compito di riferirlo agli apostoli.
La frattura, la discontinuità tra la cultura del tempo e
la vita di Gesù, diventa il criterio più forte per individuare nelle sue
parole e nelle sue scelte una sicura volontà rivelatrice di Dio, ed
escludere quindi l’intervento redazionale che semmai avrebbe mitigato lo
sconcertante e difficilmente difendibile comportamento di Cristo, chiamato
non per nulla dai contemporanei "amico dei pubblicani e delle prostitute".
La dignità della donna nel magistero della Chiesa
Ebbene questo messaggio, anche nell’ambito ecclesiale,
non è stato compreso; se infatti il pensiero cristiano ha sempre accolto in
linea di principio l’affermazione della eguale dignità femminile rispetto
all’uomo, non ne ha tratto tuttavia le conseguenze pratiche in termini di
emancipazione della donna; ed infatti accanto all’uguaglianza, teoricamente
affermata, ha continuato ad essere condivisa e sostenuta la subordinazione
della donna, legata ai compiti terreni della stessa, in aderenza a ciò che
anche la cultura antica e classica già suggeriva: la misoginia classica
(secondo cui la donna è portatrice di disordine, e pertanto è incapace di
razionalità, ergo non può decidere, non può governare; il suo corpo è
inoltre inferiore e la sua pari dignità nell’ottica escatologica è limitata
all’anima) trova la sua origine nella diffidenza e nel disprezzo della
sessualità (argomento tabù) come origine di disordine e tale disordine viene
visto sempre dal punto di vista maschile, quindi la donna diviene causa di
tale pericolo, di tale disordine, del peccato; la sessualità trova
giustificazione e accettazione nel comune sentire solo quanto è finalizzata
alla procreazione e non già come strumento e modo di essere della
comunicazione, della relazione, dell’integrazione tra i due sessi. Per
questo, al di là della maternità, fu considerato un valore superiore la
verginità.
E’ invero innegabile che nell’esperienza storica il
rapporto uomo-donna deve scontare una certa ambiguità che lo rende assai
diverso dalle promesse delle origini; nella cultura antica era frequente
l’idolatria della sessualità (la prostituzione sacra) in cui l’atto sessuale
era visto non già come riconoscimento dell’altro e di se stessi nell’altro,
ma come affermazione di sé; in tal modo il partner è considerato unicamente
come oggetto, come occasione per un’esperienza individuale di estasi, di
incontro con Dio (come non intravedere in tale aberrazione molto della
cultura sessista contemporanea?).
Tale idea è scartata dall’insegnamento biblico che, al
tempo stesso, dà un’interpretazione del desiderio di possesso dell’uomo
verso la donna e della soggezione di questa verso il primo: è il peccato, la
rottura dell’amicizia con Dio, in cui l’uomo è caduto; in realtà il racconto
biblico più che giustificare la situazione di fatto ne prende atto e cerca
di darne una spiegazione; presenta in successione temporale quelle che sono
due realtà congiunte e contemporaneamente presenti nell’uomo: la vocazione
che Dio rivolge all’Uomo a riconoscersi come fondato sulla relazione d’Amore
con Lui e con il suo simile e, d’altra parte, il rifiuto che l’uomo oppone
costantemente a questo riconoscimento. L’autore sacro spiega in tal modo
come nei fatti viene vissuta la sessualità: è un rapporto padrone-schiavo
che vede la donna sempre vittima: la donna si scontrerà con la violenza
dell’uomo ed è destinata a vivere il suo destino di madre e schiava
dell’uomo, che la dominerà, senza nessuna comunione con il suo sposo, tutto
impegnato nella vita al di fuori dell’ambito domestico, schiavo del lavoro e
della terra avara di frutti.
Tralasciando la lunga storia della chiesa e ciò che in
passato, a causa della cultura del tempo, si è ritenuto in proposito,
veniamo ai nostri giorni.
Ciò che il Concilio Vaticano II ha solennemente affermato
quanto alla fondamentale vocazione dell’uomo: "l’uomo, il quale in terra è
la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa, non può ritrovarsi
pienamente se non mediante un dono sincero di sé", trova una
concretizzazione particolare nell’essere femminile; alla donna, sin dalla
creazione del mondo, Dio ha affidato l’Uomo, inteso come essere umano.
A questo concetto fa riferimento Giovanni Paolo II quando
nella Mulieris Dignitatem (del 1988) ha scritto: "La donna è forte per la
consapevolezza dell’affidamento, forte per il fatto che Dio le affida
l’uomo, sempre e comunque, persino nelle condizioni di discriminazione
sociale in cui essa può trovarsi. Questa consapevolezza e questa
fondamentale vocazione parlano alla donna della dignità che riceve da Dio
stesso, e ciò che la rende forte e consolida la sua vocazione. In questo
modo la donna perfetta diventa un insostituibile sostegno e una fonte di
forza spirituale per gli altri, che percepiscono le grandi energie del suo
spirito". Questi concetti sono stati in epoca recente (Mulieris dignitatem
1988) ripresi dal magistero ecclesiale.
La donna (in quanto creata in relazione all’uomo) dunque
rende possibile la concretizzazione nella realtà terrena dell’ordine
dell’amore impresso da Dio nel creato, a sua immagine; tale sua peculiare
identità di trasferisce poi sul piano etico: dall’essere all’agire.
In altre parole la donna è colei che riceve l’amore
(dello Sposo) per amare a sua volta: talmente è alto questo concetto, nel
progetto originario di Dio, che S. Paolo individua nell’amore sponsale la
raffigurazione più efficace dell’amore di Dio per la sua Chiesa.
Nella nostra epoca, anche a causa del progresso delle
scienze e della tecnica può assistersi, almeno nei paesi occidentali, ad un
enorme dilatazione della componente materialistica dell’essere umano, a
discapito delle sue fondamentali risorse spirituali e morali: in tale quadro
tocchiamo spesso con mano il pericolo che venga sempre di più ad
assottigliarsi la sensibilità verso l’uomo, l’attenzione alla sua globalità
di persona in tutte le sue componenti e nell’intera sua concretezza.
La donna, in questo contesto, ed in virtù di quella
specifica vocazione che è propria della sua natura, della sua femminilità,
intesa come attitudine ad amare l’uomo per se stesso, deve sentirsi oggi più
che mai interpellata a svolgere con forza e passione la sua missione di
tutela dell’umanità: questo "genio" femminile si manifesterà in tutti gli
ambienti, dalla famiglia, al lavoro, alla scuola, alla sanità, alla
politica, all’economia, alla scienza, in cui la natura più profonda
dell’essere umano può essere messa in pericolo o in discussione.
Questo concetto di dignità dell’essere femminile, poi,
non può che realizzarsi all’interno di una visione globale dell’Uomo,
offerta dal Vangelo, che è rappresentata dalla "unità" dei "due",
cioè su quella comune dignità e quella vocazione che risultano dalla
specifica diversità e originalità personale dell’uomo e della donna. Nell'«unità dei due» l'uomo e la donna sono chiamati
sin dall'inizio non solo ad esistere «uno accanto all'altra» oppure
«insieme», ma sono anche chiamati ad esistere reciprocamente «l'uno per
l'altro».
Solamente in base a questo principio entrambi, e in
particolare la donna, possono «ritrovarsi» come vera «unità dei due» secondo
la dignità della persona…La donna non può diventare «oggetto» di «dominio» e
di «possesso» maschile.
In questa unità, ben si comprende come "le risorse personali della
femminilità non sono certamente minori delle risorse della mascolinità, ma
sono solamente diverse. La donna dunque _ come, del resto, anche l’uomo _
deve intendere la sua "realizzazione" come persona, la sua dignità e
vocazione sulla base di queste risorse, secondo la ricchezza della
femminilità, che ella ricevette nel giorno della creazione e che eredita
come espressione a lei peculiare dell' "immagine e somiglianza di Dio".(...)
"Se non si ricorre a quest’ordine e a questo primato, non
si può dare una risposta completa e adeguata all’interrogativo sulla dignità
della donna e sulla sua vocazione. In questo contesto, ampio e
diversificato, la donna rappresenta un valore particolare come persona
umana e, nello stesso tempo, come quella persona concreta, per il fatto
della sua femminilità. Questo riguarda tutte le donne e ciascuna di esse,
indipendentemente dal contesto culturale in cui ciascuna si trova e dalle
sue caratteristiche spirituali, psichiche e corporali, come, ad esempio,
l’età, l’istruzione, la salute, il lavoro, l’essere sposata o nubile." (...)
(Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, 1988).
Ancora, così si esprime la
Christifideles laici:
"La condizione per assicurare la giusta presenza della donna nella Chiesa e
nella società è una considerazione più penetrante e accurata dei fondamenti
antropologici della condizione maschile e femminile, destinata a precisare
l'identità personale propria della donna nel suo rapporto di diversità e
di reciproca complementarità con l'uomo, non solo per quanto riguarda i
ruoli da tenere e le funzioni da svolgere, ma anche e più profondamente per
quanto riguarda la sua struttura e il suo significato personale".
Qual è, in sintesi, l'apporto del Magistero alla
valorizzazione del genio femminile? Innanzitutto recupera i punti
d'arrivo più validi del percorso storico delle donne (dall'uguaglianza alla
complementarità, alla reciprocità); in secondo luogo focalizza il
concetto di reciprocità fondandolo sullo statuto "metafisico" della persona
umana nelle due polarità, maschile e femminile; indica che il
"maschile" e il "femminile" differenziano due individui di uguale dignità,
che non riflettono però un'uguaglianza statica e omologata, perché lo
specifico femminile è comunque diverso dallo specifico maschile e questa
diversità nell'uguaglianza è arricchente e indispensabile per un'armoniosa
convivenza umana; sottolinea con forza che la dignità della donna
svela specularmente anche la vera dignità dell'uomo fondata sull'amore e
sulla corresponsabilità e che tale dignità viene misurata dall'ordine
dell'amore.
Le risposte della fede: implicazioni concrete
La Chiesa, intanto, afferma con forza che la sua missione
essenzialmente religiosa include la difesa e la promozione dei diritti
fondamentali dell'uomo, e non può che apprezzare molto il dinamismo con cui
ai giorni nostri i diritti umani vengono promossi ovunque, specie ove le
situazioni concrete li mettono in crisi.
Ecco in che direzione può muoversi questa missione:
nell’ambito della sua azione educatrice delle coscienze;
si tratta di insistere sul valore della sessualità, sulla bellezza della
femminilità e della mascolinità, si tratta di educare,
di insegnare, di lottare contro modelli sbagliati di femminismo ma anche di
maschilismo; di abbattere pregiudizi ancora oggi assai diffusi su una
presunta inferiorità femminile; si tratta di evidenziare la bellezza del
rapporto di coppia come estrinsecazione del proprio essere relazionale, si
tratta di denunciare situazioni di ingiustizia o di discriminazione della
donna, coma anche la pericolosità di nuovi paradigmi culturali promossi oggi
nel mondo a livello globale, facendo attenzione a che il valore e le
ricchezze della femminilità per un verso non vengano fuorviate e
strumentalizzate per l’egoismo maschilista (in nome di una presunta libertà
sessuale quanto invece la società sessista non svilisce la donna come
persona integrale), per altro non vengano frustrate o annullate in nome del
profitto, del lavoro, dell’economia, del mercato o del potere.
Sul piano pastorale la Chiesa e tutti noi siamo chiamati
a rendere più efficace il nostro operato mediante una testimonianza
ecumenica, la collaborazione sincera con gli organismi, governativi e non
governativi, a livello azionale e internazionale, che aiutano a difendere e
a promuovere i diritti dell'uomo. Per altro verso soprattutto noi fedeli
laici dobbiamo sentirci impegnati a dare una
testimonianza credibile di "un annuncio positivo che vale la pena vivere la
propria identità, maschile e femminile, secondo il disegno di Dio, che
questo è bello e dà tanta felicità"; che il rapporto uomo-donna è naturale,
è bello e risponde al piano di Dio, che è l'unità dei due "che consente a
ciascuno – scriveva il Papa defunto – di sentire il rapporto interpersonale
e reciproco come un dono arricchente e responsabilizzante".
E' stato proprio Giovanni Paolo II a invitare i laici "a
farsi promotori di un nuovo 'femminismo'", che sapesse "riconoscere ed
esprimere il vero genio femminile in tutte le manifestazioni della
convivenza civile, operando per il superamento di ogni forma di
discriminazione, di violenza e di sfruttamento".
Nell’esercizio della carità si impone in primo piano
l’impegno di solidarietà verso coloro i quali si
trovano in una situazione di debolezza (gli ultimi che sono i privilegiati
agli occhi di Dio), e quindi tutte quelle donne, o fanciulli, che si trovano
in situazioni tali da renderli facili vittime di violenze, soprusi,
discriminazioni, collaborando nella rimozione di quegli ostacoli di ordine
sociale e culturale che ne segna il destino; va inoltre, sul piano del
rapporto personale e sotto l’aspetto spirituale, considerata la necessità di
offrire sempre anche un conforto, oltre che un aiuto materiale, a chi è
rimasto vittima della violenza: offrire una ragione di speranza, di riscatto
che non è mai prospettare una passiva rassegnazione ma è vedere la
risurrezione oltre la morte, la possibilità di trarre dal male ogni
possibile germe di bene, l’impegno di investire ancora una volta sulla vita,
anche se segnata dalla sofferenza, dalla violenza, perché è una vita che
merita sempre di essere vissuta fino in fondo, non dimenticando che la
redenzione si attua nella vita eterna ma che le sue primizie si iniziano a
vedere sin quaggiù, nella costruzione del Regno anche su questa terra. Nel
segno della speranza, ma anche della giustizia, dobbiamo quindi abbandonare
le logiche di sottomissione, di silenzio e di sopportazione ove le stesse
confliggano con l’esigenza di giustizia, di promozione dell’essere umano; la
costruzione di relazioni sempre più umane non può passare attraverso la muta
accettazione della violenza; né in nome della salvaguardia di un’istituzione
(la famiglia, in nome della quale spesso si sono giustificati i più orrendi
abusi), possiamo sacrificare un valore sicuramente superiore che è la
persona umana; l’istituzione esiste a servizio e per la promozione
dell’uomo, non per la sua distruzione.
Di recente lo scorso febbraio in Vaticano si è tenuto il
Congresso Mondiale sulla donna, per commemorare i vent’anni dalla Mulieris
Dignitatem, congresso intitolato "Donna
e uomo, l'humanum nella sua interezza".
In quell’occasione, a chiusura dei lavori il Papa, con
poche concise espressioni ha sintetizzato quanto qui si è voluto accennare,
ricordando, tra l’altro come "persista ancora una mentalità maschilista, che
ignora la novità del cristianesimo, il quale riconosce e proclama l'uguale
dignità e responsabilità della donna rispetto all'uomo.
Ci sono luoghi e culture dove la donna viene discriminata o
sottovalutata per il solo fatto di essere donna, dove si fa ricorso persino
ad argomenti religiosi e a pressioni familiari, sociali e culturali per
sostenere la disparità dei sessi, dove si consumano atti di violenza nei
confronti della donna rendendola oggetto di maltrattamenti e di sfruttamento
nella pubblicità e nell'industria del consumo e del divertimento.
Dinanzi a fenomeni così gravi e persistenti ancor più
urgente appare l’impegno dei cristiani perché diventino dovunque promotori
di una cultura che riconosca alla donna, nel diritto e nella realtà dei
fatti, la dignità che le compete.
Dio affida alla donna e all’uomo, secondo le proprie peculiarità, una
specifica vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo. Penso qui alla
famiglia, comunità di amore aperto alla vita, cellula fondamentale della
società. … Inoltre, è necessario che anche alla donna sia reso
possibile collaborare alla costruzione della società, valorizzando il suo
tipico "genio femminile".
Il cammino è arduo ma a ciascuno di noi è affidato il
compito di portarlo avanti nelle ordinarie condizioni di vita nelle quali si
trova a vivere, giorno dopo giorno con coraggio e coerenza, nella
consapevolezza che i grandi cambiamenti avvengono tante volte nella
discrezione dei piccoli passi.
Violenza contro le Donne: le risposte della Fede
Relazione di Alessandra
Trotta – direttrice del Centro Diaconale "La Noce" - evangelica - Palermo |
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Presentazione: diacona delle chiese valdesi e metodiste
in Italia e direttrice del Centro Diaconale La Noce, opera sociale che si
occupa, nella città di Palermo, di bambini e famiglie (scuole,
riabilitazione, comunità per minori, servizi educativi domiciliari ecc.), ma
che non è in modo specifico impegnata nel campo del sostegno alle donne
vittime di violenza.
Non sono, dunque, una "esperta" e posso parlare soltanto
come donna e come credente, impegnata , però, in un Centro che è luogo di
passaggio ed incontro di tante donne ed uomini, con le loro storie, i loro
problemi, le loro gioie ed i loro dolori.
Pensando al tema dell'incontro di oggi, attraversano la
mia mente, in particolare, tanti volti di donne, piccole e grandi, bambine e
nonne: come la piccola Stefania terrorizzata da qualsiasi gesto troppo
rapido o da una voce dal tono un po' più alto, che, venendo da noi a fare i
compiti, un giorno ci ha raccontato delle botte che la sua mamma prendeva
dal suo nuovo compagno ("il rossso"), l'ultima volta in piazza, in pieno
giorno; come la donna coraggiosa che alcuni anni fa si era rivolta ad un
programma per il sostegno di donne maltrattate, nell'ambito del quale aveva
svolto presso il nostro Centro un tirocinio, lavorando così bene con i
bambini che alla fine era stata da noi assunta; delle tante donne nigeriane
vittime del racket della prostituzione che l'associazione "Pellegrino della
Terra" aiuta a tirarsi fuori dall'orrore, e che presso il nostro Centro
imparano un mestiere con cui potere sperare in una vita nuova.
A) Introduzione
Oggi non siamo credo chiamati a dovere giustificare alla
luce della Parola del Dio rivelatosi in Gesù Cristo la condanna ferma di
ogni forma di violenza che umilia l'essere umano, creato ad immagine e
somiglianza di Dio, e che ne mortifica la dignità. Possiamo considerare
scontata questa condanna. Almeno formalmente.
Piuttosto, come credenti in Gesù Cristo è importante che
riflettiamo sul ruolo che le chiese cristiane, le comunità ed i singoli
credenti, hanno svolto e possono svolgere rispetto a tale orribile realtà,
in positivo certo, ma anche in negativo, laddove la nostra predicazione, le
nostre azioni o omissioni lungi dall'aiutare, hanno al contrario contribuito
o possono contribuire ad appesantire la condizione di tante donne per le
quali non si riesce dunque ad essere credibili testimoni della volontà di
liberazione di Cristo.
Primo Tema
Gli errori da evitare
C'è da chiedersi, ad esempio, quanto abbiano contribuito,
quanto contribuiscano ancora oggi al rafforzamento della cultura del
silenzio, nella quale si alimenta la violenza contro le donne, alcune chiavi
di lettura della sofferenza umana (ed in particolare delle vittime di
sistemi oppressivi: sociali, familiari, ecclesiastici) che in molte chiese e
comunità appaiono ancora radicate e che sono profondamente sbagliate.
Mi riferisco, a d esempio, all'idea della sofferenza come
castigo per i peccati commessi e per la mancanza di fede o come strumento
voluto da Dio per il nostro perfezionamento, per la nostra redenzione, per
insegnarci qualcosa.
La prima idea, è innanzitutto destituita di ogni
fondamento: contrasta con la realtà evidente della sofferenza
dell'innocente, e con quella di una fede che non è affatto garanzia di
immunità dalla sofferenza (che è invece parte ineliminabile dell'esperienza
umana).
Non abbiamo mai ricevuto questa promessa da Dio! La fede
ci aiuta semmai a credere che la sofferenza non può esercitare un dominio
assoluto sulla nostra esistenza, che la nostra esistenza non può essere cioè
totalmente assorbita da questa dimensione, pure presente.
Ma si tratta anche di un'idea pericolosissima, perché
sposta l'attenzione dall'ingiustizia commessa da chi esercita violenza, al
comportamento della vittima, che finisce con il colpevolizzarsi o con
l'essere colpevolizzata.
Che lo si faccia usando Dio, mi sembra, oserei dire, una
bestemmia.
La seconda idea,
ancora più subdola, che cioè
attraverso le sofferenze subite con rassegnata sopportazione si posa
ricavare una qualche forma di elevazione spirituale e di purificazione che
ci avvicina a Dio e ci rende più degni della salvezza è cosa che molte donne
si sono sentite ripetere per secoli. Una delle più grandi "fregature".
Molte persone possono, credo, a ragione testimoniare di
essere cresciuti, diventati più maturi e di essere usciti rafforzati da
un'esperienza di sofferenza. Il dolore, la sofferenza conducono spesso ad
interrogarsi sulle cose veramente importanti nella vita, a ridefinire la
nostra scala delle priorità, ci possono aiutare (ma non sempre questo
accade) a conoscere noi stessi, le nostre debolezze, i nostri limiti, il
nostro rapporto con l'altro.
Dunque può trattarsi di esperienza che nel bilancio
finale della nostra vita possiamo dire ha cooperato al bene, usando il
linguaggio di Paolo (Rom., 8, 28).
Ma che il pensiero che la sofferenza sia inviata da Dio
per fare acquistare meriti all'essere umano, trasmette un'immagine di un Dio
"sadico" che contrasta con il Dio d'amore testimoniato dalla Bibbia e
vanifica il sacrifizio unico ed irripetibile di Gesù Cristo, che è morto per
i nostri peccati e risorto affinché avessimo vita piena e camminassimo
liberi.
Le donne che, per insegnamenti ricevuti, hanno coltivato
dentro di loro queste convinzioni, le scaccino dunque dal loro orizzonte e
si rialzino.
Le chiese che hanno impartito questi insegnamenti (magari
con l'intento di preservare un ordine precostituito, un' istituzione (come
quella familiare) che viene trasformata in ideologia, astrattezza contro la
concretezza di vita delle persone, riflettano sul danno che provocano alle
creature di Dio e sulla cattiva testimonianza che rendono all'Evangelo della
Grazia, che è sempre creazione di uno spazio di libertà in cui non vi è
posto per la legittimazione di una oppressione.
Secondo Tema
L'impegno che le chiese cristiane possono/devono mettere
in campo
E' riassunto, in modo efficace, in alcuni importanti
documenti e pronunciamenti , molti dei quali di organismi ecumenici, a
dimostrazione del fatto che si tratta di un ambito nel quale più che mai
tutte le chiese cristiane dovrebbero unire gli sforzi, per apparire
credibili testimoni di Gesù Cristo.
Voglio ricordare, in particolare, che il WCC (Wourld
Church Council), che riunisce buona parte del mondo ortodosso, Anglicani,
Riformati, Luterani, Battisti, Metodisti e molte Chiese libere, ha promosso
recentemente (1988-1998) un "decennio ecumenico delle chiese in solidarietà
con le donne", nell'ambito del quale sono state lanciate varie iniziative di
sensibilizzazione e mobilitazione e che si è concluso con una dichiarazione
finale contenente l'assunzione di impegni comuni
Analogamente, per riferirmi alla realtà che meglio
conosco, il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste in Italia, riunitosi
congiuntamente all'assemblea delle chiese battiste, lo scorso novembre, ha
approvato un ordine del giorno che impegna le chiese su una serie di fronti.
Volendo sintetizzare possiamo così elencare quanto può
esser fatto:
1- Vedere e Denunciare.
Noi valdesi e metodisti amiamo parlare dell'impegno per
la "vigilanza" e la "denuncia" contro ogni situazione che minaccia la
dignità umana, la libertà e la giustizia, come di DIACONIA POLITICA, una
forma di servizio cristiano dunque.
Un contributo, da parte di chiese che accettino ogni
giorno la sfida ad essere sale della terra e luce del mondo, chiese
profetiche ("che si spezzino le catene della malvagità, che si sciolgano
i legami del giogo, che si lascino liberi gli oppressi, e che si spezzi ogni
tipo di giogo", Isaia 58), alla costruzione di una società in cui
non prevalgano paure, chiusure, egoismi, ingiustizie e non ci si rassegni a
lasciare indietro i deboli. Tutte minacce reali, di fronte alle quali i
cristiani non possono rimanere indifferenti e silenziosi.
L'indifferenza, l'incapacità di vedere quanto avviene
intorno a noi, l'assuefazione a ciò che dovrebbe essere invece considerato
intollerabile sono fra i nemici più insidiosi della lotta alla violenza
contro le donne. Reagire a tali pericoli è già un contributo rilevante
2- Solidarizzare ed Accogliere:
creare cioè ed offrire
spazi ed opportunità alle donne per parlare senza paura delle violenze e
degli abusi subiti, in modo da rompere la cultura del silenzio. Le comunità
cristiane dovrebbero funzionare come luoghi di ascolto delle storie e delle
sofferenze in cui le vittime possano sentire innanzitutto solidarietà e non
giudizio, liberarsi da paure e sensi di colpe.
3- Guarire: il frutto forse più significativo dei
miracoli di guarigione di Gesù consisteva nel reinserire in una pienezza di
relazioni persone che ne erano escluse a causa di invalidità, malattie,
persino morte. Anche per le donne vittime di violenza si può pensare ad una
guarigione innanzitutto dalle lacerazioni della vita relazionale che ogni
violenza determina forse come conseguenza peggiore, nella forma
dell'isolamento, della paura, della rassegnazione, della mancanza di fiducia
in se stessi, del non riconoscimento del proprio valore, ma anche dell'odio.
Promuovere guarigione significa dunque offrire
opportunità per ricostituire una sana vita di relazione (con se stessi e con
gli altri ), ed in tale ambito molto dovrebbe potere fare una comunità
cristiana, che dovrebbe essere luogo nel quale si possa sperimentare
concretamente la possibilità di relazioni alternative.
4- Riflettere
ed Educare:
- sulle ragioni della violenza: dunque inevitabilmente sulla logica
del potere e del dominio che sembra prevalente in ogni ambito della vita
associata e che contrasta apertamente con quella del servizio promossa
da Gesù;
- educando al dialogo fra donne ed uomini, in modo da favorire la
crescita individuale nel rispetto reciproco e nel riconoscimento
dell'eguale dignità di tutti gli essere umani.
Un ambito specifico e molto originale di riflessione
ed educazione è contenuto nell'atto sopra citato dell'assemblea/Sinodo
BMV (battististi, metodisti, valdesi) svoltasi a Ciampino nel novembre
2007, ed è interessante evidenziare che sono stati alcuni degli uomini
presenti a questa assemblea a chiedere che fosse inserito:
"Offrire agli uomini degli spazi per interrogarsi sul
ruolo della violenza nell'identità maschile".
Filone di ricerca in movimento. Estremamente
interessante: l'ONU ha, d'altra parte, riconosciuto l'aggressività
maschile come prima causa di morte e di invalidità permanete per le
donne in tutto il mondo
5- Pregare
Ad esempio seguendo il cammino di riflessione preghiera
proposto dalle donne della FDEI (Federazione delle donne evangeliche in
Italia), chiamato "16 giorni per vincere la violenza".
Ogni giorno guidati da una scheda, con informazioni, spunti
interessanti per interrogarsi alla luce della parola.
6- Riconciliare?
Ci può essere anche un altro ambito: estremamente
difficile e per questo l'ho lasciato per ultimo ultimo
Chiese come luoghi di RICONCILIAZIONE, di attivazione
di processi che dovrebbero coinvolgere insieme vittime e carnefici?
Rischioso, ma anche profondamente cristiano (2 Cor. 5). In ogni caso
vanno individuate alcune condizioni essenziali, quali quelle tenute
presenti nel processo di riconciliazione nazionale promosso in Sud
Africa dopo la fine dell'apartheid, come strumento per evitare che il
peso del passato rendesse impossibile un vero nuovo inizio per neri e
bianchi insieme e finalmente eguali.
Ebbene, la prima condizione credo che sia la VERITA'.
La riconciliazione non è un colpo di spugna sul passato: perché sia
autentica deve necessariamente passare da una ricostruzione della
VERITA', senza confusione di responsabilità, senza nascondimenti,
neppure degli aspetti più dolorosi, e forse senza neanche imporre come
sbocco necessario la ricostruzione di una vita comune (penso in questo
caso ai casi, che d'altra parte secondo le statistiche sono in assoluto
i più frequenti, delle violenze domestiche).
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