Miriam
si lasciò cadere esausta sul giaciglio
approntato sul fieno asciutto della stalla. La
creatura era lì, accanto a lei, ancora tiepida
del suo ventre.
Doveva
fare in fretta, non c’era tempo da perdere. Si
rialzò su un fianco. Raccolse le ultime forze
rimastole insieme al coltello da maestro d’ascia
lasciatole da Giuseppe.
-
Queste son cose da donna - le aveva detto mentre
la lasciava sola a partorire!
- Cose
da donna, appunto - pensò Miriam - non da
bambina! -
Cosa ne
sapeva lei di parti, di cordoni, di neonati?
Eppure
non c’era tempo da perdere. Tagliò con colpo
sicuro il legame che li teneva entrambi uniti,
madre e figlio. Si liberò facilmente della
matrice uterina e prese il bimbo fra le braccia.
Fu un
attimo. Una gioia immensa e disperata nello
stesso tempo la pervase per quel figlio non
voluto, non cercato ma giunto così,
all’improvviso, come un dono.
E come
un dono, lei, Miriam, la madre-bambina, l’aveva
tenuto in serbo nel suo grembo per nove mesi. In
quei mesi l’aveva sentito suo, parte di sè,
carne della sua carne, sangue del suo sangue.
Qualcosa che l’apparteneva più di ogni altra.
Ed ora
che era nato, che era fra le sue braccia e
poteva stringerlo, sentiva che non le
apparteneva più, che non era più suo, che non
sarebbe stato più suo.
Con
fatica, ma soprattutto con coraggio, Miriam, la
madre non più bambina, fasciò con cura la
creatura appena nata.
Le
lacrime le scendevano copiose. Si sentiva
felice, ora. Aveva compreso il piano del Padre
Celeste. Il dono che le era stato fatto non era
personale. Quel figlio non era stato donato solo
a lei, ma sarebbe stato di tutti gli uomini
graditi a Dio. Così stavano cantando gli angeli
che danzavano attorno alla grotta dell’Evento!
Giuseppe si avvicinò trepidante a Miriam,
raccolse dalle sue braccia il piccolo Gesù e lo
depose nella mangiatoia.
Il dono
del "Natale" era disponibile per quanti fossero
disposti ad accoglierlo.